TAGLIATA DELLE GROTTE CAVE
La Tagliata delle Grotte Cave è un’arteria immersa nel verde dei boschi di Rocca di Papa, scavata nella nuda roccia vulcanica e costeggiata da una moltitudine di cavità a camera singola o multipla, spesso connesse fra loro. La storia di questi balza alle cronache ad inizio Novecento e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. La "Tagliata" altro non sarebbe che una cava di materiali da costruzione; in sostanza si cominciò a cavare questa porzione di territorio per trarne tufo e lapillo per finalità edilizie. Le cavità laterali altro non sarebbero, perciò, che nicchie da cui veniva cavata la roccia, impiegate in un secondo momento come ricoveri per animali da pascolo.
Nel corso della guerra, tuttavia, la popolazione di Rocca di Papa si ritrovò nella condizione di dover trovare rifugio dai bombardamenti e dagli attacchi armati e le Grotte Cave vennero a ospitare intere famiglie in cerca di sicurezza. Nuove cavità vennero scavate al fine di poter accogliere il maggior numero possibile di persone e la "Tagliata" fu popolata da sfollati fino al 1945.
L’intera area dei Castelli Romani, di fatto, è costellata da grotte scavate dall’uomo fin dall’Età del Bronzo, basti pensare alla Necropoli del Vallone Tempesta e all’infinità di piccole sepolture disseminata in località Orti San Nicola a Nemi. Queste nicchie ricavate nella roccia vulcanica hanno vissuto almeno tre vite: dapprima sepolcri primitivi, poi tombe paleocristiane, infine ricoveri pastorali e rimessaggi per attrezzi agricoli.
La scelta di estrarre roccia vulcanica di natura piroclastica (tufi e pozzolane) da uno specifico punto che non spicca in modo lampante per comodità, perciò, potrebbe assumere un senso nel caso specifico in cui il terreno risultasse già in parte scavato.
Attraversando la "Tagliata delle Grotte Cave", superando una a una le nere cavità laterali, si ha l’impressione di essere osservati da decine di occhi ieratici, ma benevoli.
L’intera area dei Castelli Romani, di fatto, è costellata da grotte scavate dall’uomo fin dall’Età del Bronzo, basti pensare alla Necropoli del Vallone Tempesta e all’infinità di piccole sepolture disseminata in località Orti San Nicola a Nemi. Queste nicchie ricavate nella roccia vulcanica hanno vissuto almeno tre vite: dapprima sepolcri primitivi, poi tombe paleocristiane, infine ricoveri pastorali e rimessaggi per attrezzi agricoli.
La scelta di estrarre roccia vulcanica di natura piroclastica (tufi e pozzolane) da uno specifico punto che non spicca in modo lampante per comodità, perciò, potrebbe assumere un senso nel caso specifico in cui il terreno risultasse già in parte scavato.
Attraversando la "Tagliata delle Grotte Cave", superando una a una le nere cavità laterali, si ha l’impressione di essere osservati da decine di occhi ieratici, ma benevoli.
Le nicchie ricordano in maniera lampante i loculi preistorici diffusi in tutta l’area, benché molti di essi al loro interno presentino le tracce incontrovertibili di un riadattamento piuttosto recente ad abitazione.
La disposizione della "Tagliata" segue precisamente l’asse est-ovest, con il sole che sorge alle spalle del camminamento e la fronte volta all’ovest, il tramonto, direzione tradizionalmente associata dai popoli antichi al Regno dei Morti. È probabile che molte delle grotte cave (dette anche rotte cave, secondo il dialetto rocchiggiano) siano state ricavate ex novo nel corso della sua funzione di Cava e durante la guerra, tuttavia su alcune di esse si nota la presenza di simbolismi e marchi rupestri che ne denotano una radice ancestrale: coppelle incise in pattern ordinati lungo gli ingressi. La loro origine è talmente remota da perdersi nella notte dei tempi, quando i primi aggregati umani incominciarono a elaborare speculazioni di tipo metafisico sulla natura e i cicli vitali. Nello specifico, secondo quanto esposto dall’eminente archeologa Marija Gimbutas nel suo testo "Il linguaggio della Dea", quando incise su pareti verticali le coppelle consisterebbero nella rappresentazione figurata degli occhi della Dea Madre, dispensatori di luce e vita.
La sepoltura dei corpi, agli albori della civiltà umana, avveniva disponendo i cadaveri in posizione fetale. Il tumulo, la cavità, la tomba ipogea, altro non erano che un paradigma dell’utero materno, in cui il defunto veniva nutrito dalla Dea per poter rinascere e proseguire la sua vita in un'altra dimensione. Spazi bui, umidi, silenziosi, in cui in segreto aveva luogo una rigenerazione perpetua.
Come se ogni grotta cava fosse un occhio/utero messo a disposizione di coloro che ritornano nei luoghi della Dea, nella Natura, abbandonandosi al suo grembo materno, in cerca di rifugio. Esattamente il tipo di accoglienza che qui trovarono, nel corso del secondo conflitto mondiale, le famiglie in fuga dalle atrocità della guerra.
SENTIERO SENZA USCITA
Arrivati alla tagliata delle Grotte Cave (percorrendo un tratto del sentiero n. 508 del CAI), dove trovate la freccia segnavia, potete inoltrarvi per altri 200 metri circa per vedere le innumerevoli grotte scavate nella roccia vulcanica sia a destra che a sinistra del sentiero. Percorsi questi 200 metri il sentiero si interrompe e bisogna tornare indietro lungo lo stesso percorso fino alla freccia segnavia posizionata sul paletto in legno insieme alle altre frecce segnaletiche del CAI.
La disposizione della "Tagliata" segue precisamente l’asse est-ovest, con il sole che sorge alle spalle del camminamento e la fronte volta all’ovest, il tramonto, direzione tradizionalmente associata dai popoli antichi al Regno dei Morti. È probabile che molte delle grotte cave (dette anche rotte cave, secondo il dialetto rocchiggiano) siano state ricavate ex novo nel corso della sua funzione di Cava e durante la guerra, tuttavia su alcune di esse si nota la presenza di simbolismi e marchi rupestri che ne denotano una radice ancestrale: coppelle incise in pattern ordinati lungo gli ingressi. La loro origine è talmente remota da perdersi nella notte dei tempi, quando i primi aggregati umani incominciarono a elaborare speculazioni di tipo metafisico sulla natura e i cicli vitali. Nello specifico, secondo quanto esposto dall’eminente archeologa Marija Gimbutas nel suo testo "Il linguaggio della Dea", quando incise su pareti verticali le coppelle consisterebbero nella rappresentazione figurata degli occhi della Dea Madre, dispensatori di luce e vita.
La sepoltura dei corpi, agli albori della civiltà umana, avveniva disponendo i cadaveri in posizione fetale. Il tumulo, la cavità, la tomba ipogea, altro non erano che un paradigma dell’utero materno, in cui il defunto veniva nutrito dalla Dea per poter rinascere e proseguire la sua vita in un'altra dimensione. Spazi bui, umidi, silenziosi, in cui in segreto aveva luogo una rigenerazione perpetua.
Come se ogni grotta cava fosse un occhio/utero messo a disposizione di coloro che ritornano nei luoghi della Dea, nella Natura, abbandonandosi al suo grembo materno, in cerca di rifugio. Esattamente il tipo di accoglienza che qui trovarono, nel corso del secondo conflitto mondiale, le famiglie in fuga dalle atrocità della guerra.
SENTIERO SENZA USCITA
Arrivati alla tagliata delle Grotte Cave (percorrendo un tratto del sentiero n. 508 del CAI), dove trovate la freccia segnavia, potete inoltrarvi per altri 200 metri circa per vedere le innumerevoli grotte scavate nella roccia vulcanica sia a destra che a sinistra del sentiero. Percorsi questi 200 metri il sentiero si interrompe e bisogna tornare indietro lungo lo stesso percorso fino alla freccia segnavia posizionata sul paletto in legno insieme alle altre frecce segnaletiche del CAI.
Bibliografia: Blog personale (www.nemora.it) - 2018